di Roberta Bailo

La donna selvaggia è l’archetipo dell’anima profonda di ogni donna, quel sapere profondo e ancestrale che abita in ciascuna di noi.

Parla a partire dalle “ovarios”, ha parole antiche, visioni profonde e SA, conosce, vede al di là.

Dice del nostro potere profondo, quello che ci fa stare con le radici nella terra, profuma di boschi e di brezza di mari profondi.

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È connessa con un sapere atavico, di donne con le donne, tramandato da generazione in generazione, si svela nelle fiabe iniziatiche antiche, entra in relazione ciclicamente con quel potente e sacro “fiume che scorre sotto il fiume” che risuona parole antiche, visioni oltre, intuito, saggezza, canto, e creazione, resilienza, ebbrezza, sensualità e bellezza.

La donna connessa in profondità con la sua essenza selvaggia rispetta e riconosce i cicli naturali di vita/morte/vita.

Quando parliamo e agiamo a partire dalla nostra donna selvaggia abbiamo parole potenti e la nostra anima si espande, sono parole sacre che parlano della fame dell’anima, quella fame di cose vere, di legami autentici, di creazioni concrete, di esserci nel mondo con la nostra creatività individuale.

E’ mettere la propria firma unica al nostro mondo, è creare il nostro mondo come contributo per gli altri.

Ella giunge a noi con il canto, con il tamburo, con la parola scritta e la parola detta, con le fiabe, l’urlo, le arti, la bellezza.

E’ connessa con le forze della natura, con i mondi sottili e profondi, non teme nulla, conosce tutto, vede, sa, intuisce.

Ha una grande forza ( proprio come un lupo alfa) inventa, crea, osa, è audace, porta simboli e storie, tramanda e sa tessere i fili, di generazione in generazione. Non ha paura della verità, dei sentimenti forti. E’ ribelle.

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Tutte noi sappiamo che abita in noi, tutte noi vibriamo quando sentiamo parole di lei, perché ognuna di noi sente nel suo intimo una risonanza che giunge da un “dove” profondo e che ci appartiene ancor prima di nascere.

Lei dice della nostra storia, della nostra realtà vissuta, delle fatiche e dei dolori affrontati, della nostra resilienza, della nostra pazienza, del nostro saper vedere, dei nostri descantos, le nostre croci, le nostre umiliazioni, di cui sa fare memoria. Dice anche della nostra gioia, del sesso gioioso, della sorellanza, delle risate e delle storie raccontate.

 

Sappiamo anche che la donna selvaggia che vive in ognuna di noi spesso viene silenziata, calpestata, addomesticata eccessivamente, schiacciata, quando anche nascosta per vergogna. Come “brave bambine” messe a tacere, troppo carine per potersi ribellare, accondiscendenti, timide, insicure, in ombra, sfuocate, misconosciute, viste poco…sposate ad una vita che non le appartiene, senza colore. Ingabbiate in copioni di vita da “scusa”, “vorrei ma non posso”, “non interessa a nessuno”…

 

Quando la donna selvaggia è addormentata, la vita in noi si spegne, diventiamo aride, affaticate, eccessivamente fragili, confinate nell’intellettualismo, senza progetti, senza energia, bloccate, timorose, insicure.

Siamo state sopraffatte da quel predatore naturale ( che ogni uomo e donna ha in sé) che ci sussurra che non valiamo nulla, che non saremo mai capaci, che ci abbaglia, che ci svilisce e insinua insicurezze e fallimenti.

Il predatore naturale, quel Barbablù che vive dentro di noi e che è contro lo sviluppo, si oppone al positivo, separa, chiude le strade, blocca.

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Non dobbiamo cedere.

Dobbiamo fare quel salto di conoscenza in cui superiamo l’innocenza e maturiamo, diciamo sì alla nostra profonda capacità di vedere oltre, di sapere, di osare l’audacia, di lasciar scorrere “il fiume che scorre sotto il fiume”…

 

Dobbiamo avere il coraggio delle domande giuste!

Chiederci dove siamo finite.

Chiederci chi non abbiamo il coraggio di tradire.

Chiederci quale nostro potere stiamo nascondendo.

Dobbiamo smembrare Barbablù. Pezzo dopo pezzo, frase dopo frase.

Dobbiamo attingere al nostro maschile, a quell’Animus che è forza e azione, tirare fuori il nostro fuoco, la nostra rabbia che compie giustizia e mette a posto, ripristina l’ordine.

Dobbiamo richiamare con il nostro canto, come la Loba (la Lupa, vecchia saggia che cerca le ossa e le riporta in vita) fa, davanti al nostro fuoco, risvegliare le nostre ossa, aprire la porta, e cantare il canto della nostra anima. Risvegliarle con il canto, con la danza, con il tamburo, la meditazione, la pittura, con tutte le arti.

Dobbiamo cantare con il nostro “canto hondo” per bussare alla porta della nostra psiche femminile profonda: torneranno a noi le nostre Parole. Quelle che dicono di noi, donne selvagge, dicono della voce dell’anima e che ci condurranno a compiere azioni creative nelle nostre vite.

Perché la connessione con la nostra donna selvaggia non muore mai, vive e si cela anche nel fastidio, nell’insoddisfazione, nella solitudine, nei nostri errori, e lei attende solo che noi le diamo di nuovo ascolto e linfa vitale.

È sempre possibile ritrovare le nostre ossa, sono i frammenti indistruttibili della nostra anima.

Non smettiamo mai di cantare per ricoprirli di carne. Per poter poi ricominciare a correre.

Roberta

Fonte : http://www.robertabailocounseling.com/sii-la-donna-selvaggia-che-sei/

Immagine: https://www.pinterest.it/pin/AavIk5RCHJYWFGUOdvr9LIz38Xvaa9vecGmkHmucAZ3npJLVdkzq8xI/

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